mercoledì 10 settembre 2014

SPECIALE 1

Le Terre dell'Autunno (Uno di Tre)

[di Stefano Mazzoni]




I. Terra magica

Daniel sollevò il muso e fiutò l'aria. Abbaiò e fece un salto in mezzo ai cespugli, oltre i sassi che delimitavano il sentiero, ma il fringuello che aveva puntato volò via prima che potesse chiuderci le fauci attorno. I rami gli graffiavano le zampe, ma lui ringhiò ancora in direzione dell'uccello, allegro come non lo era da molti mesi. Sporse la testa sul sentiero e, per dimostrarlo, abbaiò in direzione di Hurt.
"Non siamo qui per giocare" lo rimproverò il detective, gli stivali inzaccherati di fango, mentre arrancava sullo stretto sentiero montano. Le gambe gli dolevano e anche i polmoni, e sotto il sole faceva fatica a tenere sollevata la testa. Lui sì che si stava divertendo. 
"Che ti è successo, capo?" chiese il cane ridacchiando. "Una volta eri rock".
"Forse lo ero" tagliò corto quello. Non aveva neppure il fiato per iniziare una discussione. "Ma abbiamo altro a cui pensare. Dovremmo essere quasi arrivati". Hurt sollevò gli occhi e osservò la posizione del sole, poi, non riuscendo a farla combaciare con i dati sulla mappa digitale, sospirò, spense il cellulare e lo ripose nella tasca della giacca. "È da queste parti, comunque".
"Non potevi comprarti un navigatore?" chiese Daniel, seguendo con gli occhi il volo di una farfalla.
Hurt si strinse nelle spalle e alzò le mani, continuando a camminare. "In questo Paese dimenticato da Dio?"
"Siamo in Irlanda, non in Antartide" disse il cane. "Parlano la nostra lingua".
"Ma hanno uno strano accento".
"Sono le isole britanniche. Siamo noi quelli con lo strano accento".
Hurt sbuffò. "Comunque siamo arrivati". Saltò fuori dal sentiero, oltre un cespuglio secco, e sbucò in una radura. Il prato era giallo e marrone, bruciato dal gran caldo di quei giorni, ma al centro dello spiazzo, delimitato da alcuni sassi, c'era ancora un piccolo circolo di erba verde.
"Un Cerchio delle Fate" disse Hurt.
Daniel si fece avanti e ne annusò i confini, prestando attenzione a non finirci dentro. "Sembra proprio" confermò.
Qualcosa si mosse tra le fronde, e Daniel ringhiò, ma dai cespugli non uscì nulla. Hurt si piegò su di lui e lo grattò dietro un orecchio. "Buono", disse. "È normale che ci sia qualche animale".
Daniel sbuffò e si mise seduto. "Adesso che facciamo?" chiese, senza smettere di tener d'occhio i cespugli.
"Ora che l'abbiamo trovato" disse il detective. "Lasciamo un segno sulla mulattiera e torniamo in albergo". Fece dietrofront, si rimise sul sentiero e cominciò la lenta discesa. Daniel lo guardò un attimo, chiedendosi il perché di quella scalata; ma si distrasse quando una mosca gli passò davanti e cominciò a rincorrerla.

Il detective era seduto al bancone di un pub a Sligo. Daniel ronfava ai suoi piedi, sul pavimento bagnato. Chiamò il barista e chiese un'altra birra.
"Subito, mister" rispose lui. "In America non ne bevete di così buona, eh?"
"Al confronto sembra piscio" fu d'accordo il detective. Non che sentisse troppo la differenza, dopo il quarto bicchiere.
Daniel si svegliò e gli tirò l'orlo dei pantaloni. "Andiamo, capo?" chiese in un mugugno. "Ho sonno".
Hurt si portò l'indice alle labbra e gli fece cenno di starsene zitto. Poi scrollò la gamba finché il cane non si staccò.
"Vai pure a farti un giro" disse. "Ci vediamo in albergo. Ma la chiave ce l'ho io".
Il cane si alzò sulle quattro zampe, sbadigliò e trottò via. Aspettò che qualcuno aprisse la porta, poi si infilò tra le ante e uscì.
La persona che gli aveva aperto si scansò per farlo passare, ridacchiando; poi si guardò attorno nel locale e, gira e rigira, finì per sedersi proprio accanto ad Hurt. Il detective si voltò appena, scoccandole un'occhiata in tralice, poi tornò alla sua birra.
Aggrottò le sopracciglia, come avesse appena realizzato qualcosa, mise giù il bicchiere e si voltò a guardarla meglio.
La ragazza non era molto alta, ma era difficile giudicarla da seduta. Aveva folti capelli di un rosso brillante, pettinati e raccolti in una treccia, e lentiggini sul naso e le guance. Indossava un vestito a fiori un po' sbiadito, che le era risalito sopra le ginocchia quando si era seduta.
La ragazza si sentì gli occhi di Hurt addosso e si voltò per sorridergli. "Ehi, cowboy" disse, come se in fondo trovasse la cosa divertente.
"È stata... solo una fase" bofonchiò Hurt. Si girò, piegò la testa sul bancone e maledicendosi tornò a concentrarsi sul bicchiere.
La ragazza strabuzzò gli occhi, come pensasse di non aver capito, poi si voltò e sembrò smettere di fare caso a lui. Il detective si passò una mano tra i capelli, si diede uno scappellotto sulla nuca e si impose di rimanere lucido. Si raddrizzò sulla sedia e tornò a guardare la ragazza. O la va la spacca, si ripeté.
"Scusa", le disse. "Ho bevuto troppo".
"Non fa niente" rispose lei, facendogli un altro sorriso. Aveva i denti bianchi, regolari, e i suoi occhi erano di uno strano blu elettrico. "Capita a chi non è abituato".
Hurt piegò la testa e accettò la battuta. "Mi chiamo Jack" si presentò, porgendole la mano.
Dopo un attimo di esitazione lei gliela strinse. "Myriam" disse. "Mi chiamo Myriam".
"Un bel nome" disse Hurt senza pensarci. "Posso offrirti qualcosa, Myriam?"
La donna lo squadrò e arricciò le labbra. "Grazie, ma no grazie" rispose. "Credo sia meglio che tu vada a dormire".
La mascella di Hurt si contrasse mentre lei si girava dall'altra parte. "Va bene" disse. "Ma prima guarda una cosa".
Myriam sbuffò scherzosamente e si voltò di nuovo. Per un attimo i loro occhi si incrociarono. Hurt era troppo ubriaco per potersi concentrare, ma quello sguardo gli fu sufficiente: alzò la mano col palmo rivolto verso l'alto, la strinse e la riaprì. Myriam vide sette luci colorate scivolare e rincorrersi tra le dita di lui, poi saltare in alto e scoppiare come fuochi d'artificio. Hurt si augurò bastasse, perché in quel momento non poteva fare altro.
Per un attimo ancora Myriam gli fissò la mano, quindi sollevò la testa e rimase a osservarlo a bocca aperta. "Come hai fatto?" gli chiese.
Hurt assunse un’espressione compiaciuta. "Magia" minimizzò, con una scrollata di spalle.
"Giuro, è la cosa più strana che io abbia mai visto fare a un ubriaco" disse la ragazza. "Qual è il trucco?"
"Ti dico come ho fatto" le promise. "Se ti lasci offrire qualcosa".
Myriam gli lanciò un'occhiataccia. "Non siamo in un film, mister".
"Voglio tornare a casa e vantarmi di avere offerto da bere a una bella irlandese" le assicurò lui. "Sai come sono i ragazzi, quando si incontrano. Tutto qui".
La ragazza abbassò lo sguardo e parve meditare un attimo; poi lo risollevò e rise. "Se è così, accetto" disse, e ordinò un’altra birra.

La sveglia segnava pochi minuti dalla mezzanotte. Myriam dormiva profondamente, prona sotto le coperte, e i suoi  riccioli rossi le ricadevano sulle spalle. Hurt si alzò, cercando di fare meno rumore possibile, senza accendere la luce o mettersi le scarpe, e raggiunse la sedia su cui aveva poggiato i vestiti. Frugò nella tasca sinistra della giacca, poi nella destra, ed estrasse un paio di forbici.
Poggiò un ginocchio sul letto, lentamente perché le doghe non cigolassero, e si chinò su di lei. Con un colpo deciso le tagliò una ciocca e se la nascose nella giacca.
Myriam si svegliò. "Che succede?" chiese, con la voce ancora impastata dal sonno.
"Nulla" disse Hurt, e si piegò a baciarle la schiena e il collo. Indugiò per un attimo, poi: "Torna a dormire" disse.
La ragazza non lo ascoltò. Tese un braccio e a tentoni riuscì a trovare l'interruttore della luce. Quando vide che Hurt saltellava cercando di infilarsi le mutande arricciò il naso e sorrise. "Che stai facendo?" insistette. Si girò supina e si sollevò. Il copriletto le scivolò di dosso, rivelando due morbidi seni e, più giù, il ventre piatto, che disegnava una curva fino all'altezza dei fianchi. Una sottile striscia di lentiggini le correva sul petto, lì dove il reggiseno lasciava posto alla pelle e dove il sole l'aveva abbronzata più intensamente. Hurt appoggiò a terra il piede e sospirò, sovrappensiero. 
"Dove vai?" chiese la donna, tirandosi la coperta fino al collo.
"Il mio cane" bofonchiò Hurt, tornando a vestirsi. "L'ho lasciato fuori dall'albergo. Sono passate delle ore, ormai".
Myriam tentennò un attimo e distolse lo sguardo. Non disse nulla, ma le sue labbra mimarono un vaffanculo.
"Sul serio" continuò Hurt, cercando di giustificarsi. "Daniel è un cane... difficile. La sua vecchia padrona lo maltrattava". Riuscì a chiudersi la patta e afferrò la giacca. "Torno presto" le assicurò. "Be', prima o poi. Giuro".
Vedendo che Myriam non gli rispondeva e che, anzi, continuava a fissare la parete, pensò di dover aggiungere qualcosa. Tuttavia desistette, afferrò il cellulare e uscì dalla camera. Si ripromise che avrebbe cercato di sistemare le cose dopo, quando tutto fosse finito, se fosse stato ancora vivo.

Hurt parcheggiò la Toyota a noleggio sul ciglio della strada. Aprì il cruscotto e prese un flacone di aspirine... poi ne mise in bocca un paio e le fece andar giù con un sorso di whiskey.
"Pessima mossa" commentò Daniel, che era seduto sul sedile accanto al suo.
"Non accetto consigli da te".
Daniel rise, abbaiò e si gettò fuori dalla macchina. Hurt lo seguì e chinandoglisi accanto gli slacciò il collare. "Dove andiamo il ferro della piastrina non è il benvenuto" disse. Lo gettò sul sedile della macchina, poi fece lo stesso con le chiavi.
"Non è un po' stupido?" chiese il cane.
"Almeno la polizia non avrà problemi a rimuoverla" disse il detective. "Sperando sia la polizia" aggiunse. Daniel scosse il muso e Hurt decise di recuperare le chiavi e di sotterrarle a lato del sentiero, sotto un sempreverde.
Tornò alla macchina e armeggiò col sedile posteriore. Accese una torcia e la lanciò a Daniel, che saltò e la afferrò al volo.
"Hahà hihhihihe hohahe ha hahuha" osservò il cane.
"Cosa?"
Daniel poggiò a terra la torcia e ripeté. "Sarà difficile trovare la radura".
"Per questo l'abbiamo cercata stamattina, col sole" disse il detective. Prese un pacchetto verde e se lo infilò nei pantaloni, poi recuperò una seconda torcia.
"Cos'era quella cosa?" chiese Daniel.
"Foglie d'acero e trifogli intrecciati" spiegò Hurt. "Ho bisogno di... di portare qualcosa oltre il confine". Fece segno con la torcia verso il sentiero, che iniziava da lì e si inerpicava fino in cima al monte. Daniel recuperò la sua pila e iniziarono la scalata.

Erano arrivati all'altezza giusta: Hurt riconobbe il segno che aveva lasciato sul sentiero. Fece per superare i cespugli, ma un ringhio di Daniel lo avvertì di fermarsi.
Qualcosa si muoveva, in basso, tra le fronde. Hurt puntò il fascio di luce e vide un serpente strisciare verso di loro, sibilando, poi fermarsi e sollevare la testa per studiarli meglio.
"Questo luogo ha un guardiano" disse Hurt in un sussurro. "Avrei dovuto immaginarlo". Fece cenno a Daniel di star giù, poi si rivolse al serpente.
"Messer Vipera" disse, nel tono più cordiale che gli riuscì, accennando un mezz'inchino. "Mi spiace averti disturbata. Chiedo il permesso di entrare nella radura, per me e il mio famiglio".
La vipera lasciò saettare la lingua fuori dalla bocca, si sollevò ancora di più e iniziò a ondeggiare minacciosa. "E perché mai dovrei farti passare? Io che ho ricevuto l'incarico di difendere questo luogo?"
La sua voce era quella del vento e del frusciare delle foglie. Apparentemente, un sacco di cose avevano quella voce.
Hurt sollevò la mano con il palmo rivolto verso l'esterno, in segno di pace. "Non è questo il giorno del commiato?" chiese. "Non è questo il giorno in cui la Prima e la Seconda Razza si incontrano per piangere Cuchulain?" Sorrise tra sé, perché sapeva di avere ragione.
Il serpente lo guardò, visibilmente a disagio, e se avesse potuto avrebbe sollevato un sopracciglio. "I mortali non si uniscono al pianto del Popolo" osservò. "Mai. Perché proprio voi e proprio ora?"
"I nostri tempi e i nostri motivi non sono affari che ti riguardano" disse il detective. "Ci lascerai passare o infrangerai il Patto?".
Il serpente scosse il capo e si abbassò, strisciando tra i cespugli e lasciando libero il passaggio. "Entrate pure, se volete" disse. "Buon pro vi faccia".
Hurt si girò verso Daniel e gli fece l'occhiolino. Gli indicò la radura, ma appena il cane si mise a correre il detective lo afferrò per il pelo e lo trattenne. Gli fece cenno di rimanere nascosto tra i cespugli. Quando si furono acquattati spensero le torce e aspettarono che i loro occhi si abituassero alla luce delle stelle.

Il primo arrivò qualche minuto dopo. Sbucò fuori da una macchia verde e avanzò con passo indeciso in mezzo alla radura. Era un ranocchio. Quando ebbe fatto qualche metro si alzò sulle zampe posteriori ed estrasse un bastoncino cui aveva appuntito un'estremità. Rimase lì in silenzio, aspettando gli altri.
Il secondo ad arrivare fu un tasso. Anche lui fece la sua entrata sulle quattro zampe, ma subito si alzò sulle due posteriori. Indossava un paio di pantaloni troppi grossi per lui e che continuavano a scivolargli sotto la vita. Per questo era costretto a reggerli con una mano. Si avvicinò al ranocchio e piegò il capo in cenno di saluto; il ranocchio gli rispose qualcosa, ma Hurt e Daniel erano troppo lontani per sentirlo. Comunque pareva fossero solo gentilezze di rito.
La terza e ultima ad arrivare fu una capra, che entrò nella radura già bella dritta. Indossava una tunica porpora e tra gli zoccoli reggeva un vecchio bastone nodoso. Sul naso stavano appollaiati un paio d'occhiali incrinati, rubati chissà dove e chissà quando a chissà chi.
"Se ci siamo tutti" disse la capra, con voce forte e distesa, "possiamo anche iniziare".
"Ci siamo tutti" confermò Hurt, uscendo dal suo nascondiglio. Daniel gli corse dietro. Teneva gli occhi fissi sulle creature, temendo la loro reazione.
Il ranocchio si erse in tutta la sua trascurabile altezza e spianò il bastone verso di loro, soffiando, ma la capra non parve perdere la sua flemma.
"Chi siete?" chiese.
Hurt le sorrise e fece un mezzo inchino. "Io sono Hurt, Fante di Cuori, in rappresentanza della Seconda Razza. E questi è il mio famiglio, che come potete vedere è un cane parlante". Il detective badò a non dire il Vero Nome di Daniel. "Siamo qui per piangere Cuchulain, come le nostre razze usavano fare nei tempi antichi".
Il ranocchio sbuffò e strinse più forte la lancia, il tasso si grattò dietro le orecchie e la capra belò, in tono sospettoso.
"Non mi fido!" urlò il ranocchio con voce stridula. "L'unico uomo buono è un uomo morto".
"Voi come venite chiamato, Mastro Ranocchio?" lo interruppe Hurt.
Lo scostante animale ritirò il bastone e vi si poggiò sopra con tutto il proprio peso, sollevando il mento e assumendo in tutto e per tutto un'espressione di puro orgoglio. "Io sono Ser Rospo, Cavaliere del Gracidio nominato da Sua Maestà in persona Oberon delle Fate. E questi" continuò, indicando i suoi compagni, "sono Messer Tasso e Capra di Montagna".
"Molto piacere" bofonchiò il tasso, piegandosi in un buffo inchino. Ma la capra si sistemò meglio gli occhiali sul muso e non disse nulla.
"Ora che le presentazioni sono fatte" riprese Hurt, "potremmo azzardarci a parlare d'affari?"
"Credevo foste qui per il commiato" osservò Capra di Montagna.
Hurt piegò la testa e sventolò una mano, come a voler allontanare da sé un pensiero fastidioso. "Anche. Ma non è cosa di tutti i giorni incontrare tre signori del Popolo, vero?"
Ser Rospo e Messer Tasso sorrisero, lusingati, ma la capra rimase di ghiaccio. "Se siete qui per concludere un affare fate la vostra proposta, e non perdiamo altro tempo" disse.
Il detective annuì, lentamente, e sempre lentamente si sedette sull'erba bruciata. Daniel gli venne vicino e lui lo cinse con un braccio. "Voglio un lasciapassare. Per le Terre dell'Autunno" disse. "Per me e il mio famiglio".
Ser Rospo scoppiò a ridere, ma a un cenno della capra si zittì. "E perché lo vuoi?" chiese quella.
Hurt si strinse nelle spalle, fingendo noncuranza. "Ho delle cose da fare laggiù. Di che genere sono affari miei. Ed è sempre più difficile trovare delle Soglie, coi tempi che corrono".
La capra sorrise e indicò con un cenno il Cerchio delle Fate. "Quella è una Soglia, mio signore" disse. "Noi conosciamo il suo Vero Nome e possiamo attivarla. Ma tu cosa ci offrirai in cambio?"
Hurt rispose al suo sorriso, simulando una sicurezza che non aveva. "Una oblazione" disse. "Una volta che sarò tornato da Faerie mi impegno a rimanere in Irlanda per una settimana ancora. Così, tutte le mattine, potrò offrirvi del pane fresco e una ciotola di latte".
Messer Tasso si sgranchì le gambe, inquieto. Ser Rospo aprì bocca come volesse dire qualcosa, ma fu Capra di Montagna a parlare per prima.
"E noi dovremmo accontentarci di così poco?"  chiese.
Gli altri le gettarono un'occhiata preoccupata. Erano decenni che gli uomini ignoravano gli Antichi, e a causa di questo i pochi del Popolo si erano fatti sempre più deboli e affamati.
"Cos'altro vuoi?" chiese Hurt.
"Qualcosa che non si trovi facilmente" rispose la capra, con sul muso un'espressione di astuzia animale.
Hurt si chiese cosa avrebbe potuto darle. Se conosceva le regole, doveva essere qualcosa di importante per lui e di bello per loro. Si passò una mano a massaggiarsi il collo, e all'improvviso gli venne un'idea: slacciò il crocefisso di suo nonno e lo sventagliò sotto i loro occhi.
"È... è oro?" chiese la capra, con la bava che le colava fin sulla barbetta.
"Purissimo" mentì il detective. "Potrete scambiarla con un leprecauno e ottenere tutti i favori che volete. Oppure tenerla per voi, la cosa non mi riguarda. È una scelta vostra".
I tre si scambiarono un’occhiata.
"Accettiamo" urlò Ser Rospo a nome di tutti, e saltò a strappargli la catenina. Hurt non oppose resistenza.
Il ranocchio passò la collana alla capra, che la avvicinò al muso e socchiuse un occhio per studiarla meglio. Soddisfatta, indicò col bastone il centro del Cerchio. "Alueth" disse, pronunciandone il Vero Nome. Un soffio di vento increspò le ciocche d'erba all'interno del circolo, ma a parte questo non accadde nulla.
"Il passaggio è libero" disse Capra. "Avete fino alla prossima luna per tornare, prima che si richiuda".
"Oh, non fa niente" disse Hurt alzandosi. "Quando usciremo sarà Oberon in persona a scortarci".
La capra lo guardò divertita, e: "Come farai anche solo a parlarci, con Oberon?" chiese.
Il detective le strizzò l'occhio e si dette una pacca sulla giacca. "Ho un talismano" disse.

Hurt mise entrambi i piedi nel Cerchio. Aspettò che Daniel lo seguisse ed entrasse nella Soglia; poi, semplicemente, ne uscì.
La nuvola che copriva il Sole passò, illuminando la radura. Ogni cosa nel Paese delle Fate era inondata di una luce che sembrava provenire da tutte le direzioni nello stesso momento. Ogni oggetto risplendeva e nulla proiettava un’ombra. L'effetto per gli occhi era fastidioso, ma presto ci si abituò.
"Questo posto è stato fatto con la magia" sentenziò Daniel, annusando l'aria.
"Questo posto è la magia" lo corresse Hurt. "Siamo nelle Terre dell'Autunno, dove non scende mai il crepuscolo".
Superarono i cespugli e si accorsero di non essere più in montagna, ma nel mezzo di una pianura immensa di cui non riuscivano a scorgere gli orizzonti. Eppure l'erba era curata, tagliata tutta alla stessa altezza, come se ci fosse stato un esercito di giardinieri sempre pronto a occuparsene.
Hurt si chinò su Daniel e gli parlò all'orecchio.
"In questo mondo ci sono regole da seguire, Daniel" lo avvertì. "E le regole sono questo mondo. Prima di tutto, non lasciare mai il sentiero. Secondo, non rivelare mai a nessuno il tuo nome". Lo guardò negli occhi per essere certo che avesse capito, poi si rialzò. Daniel credeva che sarebbe andato avanti a parlare, invece rimasero in silenzio, a studiare il paesaggio.
Il detective guardò attentamente alla sua sinistra e poi alla sua destra, e infine decise per quest'ultima, la via dell’est. Si incamminò lungo la strada facendo segno a Daniel di stargli vicino. Il cane scodinzolò e come sempre gli corse dietro.



CONTINUA TRA SETTE GIORNI!