lunedì 12 maggio 2014

EPISODIO 8


Resa dei conti

[di Stefano Mazzoni]




Il primo colpo fece colare una goccia d'inchiostro sulla fattura non ancora archiviata del caso Grimm. Hurt studiò la macchia, critico. Il secondo colpo, invece, fece crollare una porzione della parete che dava sul corridoio. 
Tra la polvere e le macerie, Ethan King entrò negli uffici della Instant Karma Investigazioni.
Hurt afferrò la Smith&Wesson dal cassetto e gliela puntò contro. Daniel arruffò il pelo e iniziò a emettere un basso ringhio.
King sorrise. Appoggiò un gomito su un mobile e studiò gli uffici.
“Dunque è qui che ti rintani, Jack bello. Buio e stantio. Io mi sentirei a casa".
“Che ci fai tu qui?”
King fece qualche passo avanti, passò un dito sul mobile e lo ritirò pieno di polvere. Lo studiò con noncuranza, come se fosse lì solo per ammazzare il tempo, poi si batté la mano sulla giacca per ripulirlo. “Volevo davvero architettare qualcosa, sai?” confessò, col tono di chi è colto con le mani nella marmellata. “Per liberarmi di te. Un piano diabolico, che ti avrebbe lasciato senza via di scampo, indifeso e adorante del mio genio”. Con un salto superò un calcinaccio. “Poi è successa una cosa strana. Mi sono ricordato il mio Ludovico Van, e ho capito che i veri geni non pianificano… improvvisano”.
Daniel saltò alla gola di King, ma il dottore lo colpì e lo scaraventò contro la parete. Il cane si rialzò, si allontanò zoppicando e riprese a ringhiare.
“Dì al tuo bastardo di stare attento” disse King.
“Non è il mio bastardo”.
Il dottore spalancò gli occhi, fingendo sorpresa. “Sei tu il suo?”
Hurt premette il grilletto e un proiettile trapassò il polpaccio di King. Uscì dall'altra parte e si andò a conficcare nella parete opposta. La gamba cedette e King cadde in ginocchio; ma, dopo aver gridato, dalla sua bocca iniziò a uscire come una risata. Passò poco che fu di nuovo in piedi, indicando con aria entusiasta la sua ferita.
“Non è pazzesco?" disse, con un timbro di voce stranamente stridulo. "Uno pensa e ripensa, ma è sempre una sorpresa quando funziona per davvero!”
Hurt ripiegò i gomiti e alzò la pistola al soffitto. Fissava King senza capire. “Che cosa hai fatto?” mormorò.
Il dottore sollevò l'indice e lo fece roteare. “Devi sapere che il vero genio punta alla… semplicità”.
Hurt riabbassò la pistola e sparò a King. Lo colpì alla spalla e due volte al petto. King indietreggiò di un passo, curvandosi sulla pancia, ma si fermò e risollevò lo sguardo. Non una singola goccia di sangue colava dalle sue ferite.
Si mosse a grande velocità: la sua immagine sulla retina di Hurt era ancora ferma che lui già lo schiacciava contro la finestra.
Daniel era balzato e gli aveva affondato le zanne nel fianco, e ora lo stava strattonando con forza; ma King non sembrava essersene accorto. Miss Lovelace, chiedendosi se c'era qualcosa che potesse fare, assisteva impotente alla scena dall'entrata dello studio.
“Ricordi quando ti conoscevano come il Cavaliere di Coppe, Jack?" disse King in un sussurro. "Le coppe sono il simbolo femminile della misericordia, eppure... eppure non vedo traccia di misericordia nelle tue azioni. Solo di colpa”.
“Come fai a sape…?” provò a dire Hurt con un filo di voce. Ma si sentì soffocare, deglutì e rimase in silenzio.
“Perché facevo anche io parte del Mondo” disse King con un mezzo sorriso.
“Impossibile. È stato distrutto anni fa”.
“Lo so”. King avvicinò la bocca all’orecchio di lui. “Sono stato io a distruggerlo”. Con la mano libera colpì la finestra e la mandò in frantumi, quindi afferrò per il collo Hurt e si sporse tenendolo sospeso sopra la strada.
A quel punto anche Hurt fece un mezzo sorriso.
“Non mi crederai tanto impreparato?” disse. "Avevo previsto tu..."
“Sì, sì” lo interruppe il dottore. Aprì la mano e lo lasciò andare nel vuoto. La Lovelace urlò.

Dall'altra parte della città, Hurt, Miss Lovelace e Daniel rotolarono oltre le quinte del palco di un piccolo teatro di periferia. La Lovelace batté una spalla e si lasciò sfuggire un lamento.
"Tutto bene?" chiese Hurt.
"Abbastanza" rispose lei, premendosi una mano sul fianco.
"Worf!" confermò Daniel.
Annuendo, Hurt trafficò nelle tasche e tirò fuori un pacchetto di fiammiferi, ne accese uno e cercò di capire dove fossero capitati. Quello si consumò in fretta e gli scottò le dita. Con un’imprecazione lo fece cadere, poi se ne accese un altro. Andò dietro le quinte e si diede da fare finché non trovò le luci.
“Dove siamo?” chiese la Lovelace.
“In un teatro” disse Hurt.
La Lovelace lo guardò con espressione di rimprovero. “E come ci siamo arrivati, qui?”
Hurt si frugò nelle tasche ed estrasse un pacchetto di sigarette. Ne prese una e se la accese, con tutta calma.
“Dopo quello che è successo col giornalista..." disse. "Be', ho pensato che ci servisse un’altra protezione, in ufficio. Un’uscita rapida. Così, l’ultima volta che sono stato al Mercato dei Goblin ho comprato una Porta Balbuziente”.
La Lovelace lo guardava atterrita. “E cos’è una Porta Balbuziente?” chiese Daniel, che era saltato giù dal palco e ora stava esplorando entusiasticamente la platea.
“Un’uscita" disse Hurt. "Ti teletrasporta da qualche parte e poi si spegne. Del tutto irrintracciabile”.
Da qualche parte?” disse la Lovelace. “Stai dicendo che saremmo potuti finire… non so, dentro un vulcano, o in un fiume in piena, o...?” Le mancarono le parole e parve sull'orlo di una crisi di nervi.
“Con quello che l’ho pagata, siamo fortunati a non essere rimasti nel condominio. No, sono abbastanza sicuro che siamo ancora in città”.
La Lovelace cercò di calmarsi e gli si avvicinò. Erano all’incirca alti uguali, ma all'improvviso lei parve sovrastarlo. “Mi vuoi dire cosa succede? Perché se devo dire la verità questa cosa inizia a preoccuparmi”.
Il detective la studiò per un attimo, poi, con espressione rassegnata, abbassò la testa. “Sì, suppongo tu abbia ragione" disse. "La faccenda riguarda tutti noi”. Rimase in silenzio per qualche istante, poi “Cosa vuoi sapere?” le chiese. Si sedette sul proscenio con le gambe penzoloni, e osservò la sigaretta che si consumava.
“Come fa King a conoscerti?”
“A quanto pare apparteniamo... appartenevamo alla stessa organizzazione. Te ne ho già parlato. Si chiamava Il Mondo”.
La Lovelace alzò gli occhi e si prese un secondo per pensare. “Bene” disse infine. “E che cos’è il Mondo?”
Hurt gettò a terra il mozzicone e lo schiacciò con lo stivale.
“Sai cosa accadde nel 1945?"
"La fine della Guerra?" disse la Lovelace, sollevando un sopracciglio.
"Anche, ma io sto parlando della bomba. Nel 1945 gli Stati Uniti testarono la prima atomica. L’energia liberata si espanse oltre il Muro e fin nel multiverso... Non ricordo sia mai accaduto niente di simile, né prima né dopo. Il Muro produsse degli anticorpi e le successive esplosioni non arrecarono gravi danni, ma quella prima volta…" Scosse la testa, cupo, e si accese un'altra sigaretta.
"Non capisco" disse la Lovelace, ma Hurt parve non ascoltarla.
"Robert Oppenheimer, che era a capo del Progetto Manhattan, pensava di cavalcare l’onda psichica delle esplosioni e intrappolare il mondo in un sigillo. Non sappiamo da chi prendesse gli ordini, ma era sicuramente qualcuno di potente. Per lui la fine della guerra era solo una scusa per completare i suoi progetti".
La Lovelace strizzò gli occhi. "Quali?"
Hurt si strinse nelle spalle. “Oppenheimer avrebbe recitato un incantesimo dal Bhagavadgita, le parole di fuoco di Vishnu. Con quelle avrebbe fatto qualcosa che all'epoca noi ritenevamo impossibile: sigillare ogni forma di magia, fortificare il Muro, rendere inagibili le Soglie. Il cosiddetto Tempo della Magia sarebbe finito, e avrebbe avuto inizio l’Era dell’Atomo, un’era precisa e quantificabile, un’era di burocrati. Onestamente, non so a chi potesse giovare una cosa simile. Forse solo a quel pazzo di Oppenheimer”.
Hurt finì la sigaretta con un’ultima, profonda aspirata. La Lovelace lo osservava in silenzio.
“Ne parli come se ci fossi stato” disse.
Per la seconda volta Hurt non rispose.
“Il piano di Oppenheimer venne divinato. Un gruppo di maghi gli impedì di essere presente al test della bomba, così l’incantesimo fallì, e l’Era della Magia continuò come se niente fosse successo. Il gruppo si dette il nome dell’ultimo arcano che avevano estratto, il Mondo, e i suoi affiliati scelsero un nome de plum tra le altre carte.
"Quando la notizia di quello che era successo si sparse vennero in molti a ingrossare le fila del Mondo: alcuni dal Collegio Invisibile, altri dall'Astro d'Argento, altri ancora dall'Alba Dorata. Furono tempi magnifici, quelli. Presto fummo divisi tra i Minori, i luogotenenti sul campo, e i Maggiori, i generali dietro di noi. Tutto questo finché..." Hurt tentennò. "Be', a quanto pare finché King non distrusse l'organizzazione”.
Il detective alzò un sopracciglio e per un attimo parve riflettere. “Questo è più o meno tutto, a quanto mi pare di ricordare”.
La Lovelace aspettò un momento che aggiungesse qualcosa, ma Hurt rimase in silenzio. “Quindi tu saresti l’unico sopravvissuto?”
Hurt scrollò la testa e si strinse nelle spalle. “Io e gli altri che ne sono usciti prima”.
La donna rimase a sua volta in silenzio, pensierosa.
“Ora che facciamo?” chiese.
Hurt sollevò le mani in segno di arresa. “Io conto di capire come abbia fatto King a ottenere i suoi poteri. Mentre tu” disse, “conosci un posto sicuro dove nasconderti?”
La Lovelace ci pensò un attimo e annuì.
“Allora corri là. Daniel!” chiamò Hurt. “Vai con lei. Proteggila ad ogni costo”.
Il cane trottò fin sotto il palco, con la lingua penzoloni.
“Sbranerò chiunque le si avvicini, capo” disse. “Dovranno fare i conti col vecchio Daniel. Oh, si ricorderanno del vecchio Daniel, te lo assicuro". Azzannò l’aria un paio di volte per far passare il messaggio.
Hurt gli sorrise e si girò verso la Lovelace. Pensò di dover fare qualcosa, come prenderle le mani, ma perse il momento e alla fine desistette.
“Quando ti assunsi pensavo che il lavoro d’ufficio sarebbe stato sicuro" disse. "Mi sbagliavo, come a volte succede. Non posso permettermi di perdere altre persone”.
Gli occhi della Lovelace si addolcirono e lei annuì. Gli appoggiò una mano sulla spalla, si girò e scese i gradini del palco; quindi si allontanò con il cane. Hurt li seguì con lo sguardo finché non furono usciti e, pensieroso, si accese un'altra sigaretta.
Uscì dal teatro e si guardò attorno. C’era un locale all’angolo dell’isolato ed egli vi si diresse. Entrò e si sedette al bancone. 
"Dammi un Jack Daniel’s, capo. Potrebbe portarmi fortuna”.
“Liscio?”
“On the rocks”. Hurt gli fece l’occhiolino.
Il barista prese un bicchiere, lo immerse nel lavabo e lo risollevò pieno di ghiaccio. Quindi afferrò una bottiglia e fece colare rapido il liquido tra i cubetti.
“E portami l’elenco del telefono, grazie” disse il detective. "Devo cercare qualcuno".

King era seduto sulla poltrona di Hurt e teneva le gambe incrociate sulla scrivania. Doveva solo aspettare che lui si facesse vivo, pensò, e lo avrebbe ucciso. Non c'erano dubbi che sarebbe tornato: glielo si poteva leggere negli occhi, in quell'espressione di sfida che aveva tenuto fino all'ultimo. A quel punto lui gli avrebbe sfilato la colonna vertebrale, gli avrebbe staccato la testa e lo avrebbe seppellito con il petto all’ingiù, verso il centro della terra, per essere sicuro che non potesse tornare.
Il fastidioso bip di un allarme si diffuse nella stanza, distogliendo il dottore dalle sue fantasticherie. King tolse i piedi dal tavolo e rischiò di cadere in avanti, ma si frenò appoggiando le mani sulla scrivania. Tirò fuori il cellulare e spense la sveglia. Poi si tastò la giacca ed estrasse un borsellino, lo posò sulla scrivania e lo aprì.
Infilò una siringa in una bottiglietta e risucchiò il liquido che conteneva. Sollevò l’ago e ne fece schizzare un po’ fuori, per assicurarsi che non fossero rimaste bolle d’aria; si arrotolò una manica e si pizzicò l’incavo del gomito, poi si somministrò la sua medicina. Strinse un po' i denti, si rilassò e ritirò tutto; infine pulì il buco con un batuffolo di cotone.
“Allora! Tanto vale che faccia qualcosa, nel frattempo” disse, reprimendo uno sbadiglio, e a passo svelto uscì dall'edificio.

Hurt era tornato all'agenzia. Aveva salito con circospezione le scale e si era intrufolato nello studio per il foro che aveva lasciato King. In tutto l'edificio sembrava non essere rimasto nessuno, nemmeno gli inquilini. Si chiese oziosamente cosa fosse successo, ma la sua attenzione in quel momento era rivolta ad altro.
Pistola alla mano, aveva ispezionato stanza per stanza l'ufficio. Alla fine si era seduto alla sua scrivania, teso, chiedendosi quale sarebbe stata la prossima mossa del dottore.
Proprio in quel momento una voce, in falsetto, si era alzata dal giardino e aveva chiesto: “Jack può scendere a giocare?”
Il detective si precipitò all’entrata e guardò dalla finestra. C'era King nel cortile interno, parzialmente coperto dal bucato del secondo piano, che lo invitava a raggiungerlo.
“Scendi subito. Non voglio altre sorprese” disse. “O soffierò e soffierò finché non avrò buttato giù la casa”.
Hurt estrasse la pistola e la puntò contro il dottore. Poi con un grugnito la ripose, si girò e scese le scale. Raggiunse il cortile, ma si mantenne il più possibile vicino alla porta, casomai avesse dovuto scappare.
“Finiamola qui, King” disse seccamente. "Solo tu e io".
King sorrise, e: “Scusami” disse, protendendo le labbra e mimando il broncio di un bambino. “Non pensavo fosse questa la tua intenzione”. Poi abbassò lo sguardo e indicò un punto del cortile che ad Hurt era rimasto nascosto.
Per terra c’era Daniel, ansimante, con la pelliccia a brandelli e la carne nuda ricoperta di graffi. Aveva gli occhi chiusi e la lingua immobile.
Hurt risollevò lo sguardo su King e vide che adesso stringeva per il collo Miss Lovelace. Doveva averla nascosta da qualche parte, pensò. La gettò a terra e lei si mise a quattro zampe.
“Rosemarie!” urlò il detective. Fece per avvicinarsi, ma anche King fece un passo avanti. Lo guardava tenendo l’indice sospeso in aria. “No no” disse. “Guardare e non toccare è la cosa da imparare”.
“Ti avevo detto di andare in un posto sicuro” la rimproverò Hurt, cercando di ignorare King.
“Credevo… mia sorella…” balbettò la Lovelace, con la voce rotta dal singhiozzo. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime e il corpo era percorso da tremiti; ma nel complesso sembrava che King non le avesse fatto nulla di male.
“Tua sorella è sull’elenco telefonico”.
King sorrise e, senza dire una parola, si avvicinò alla ragazza. Hurt estrasse la Smith&Wesson e gliela puntò contro, ma King la degnò appena di uno sguardo.
“Come è strana la vita, eh Jack?” disse, senza staccarle gli occhi di dosso. “Mi chiedo… avete mai fatto sesso? Ma no, adesso ve lo si leggerebbe negli occhi, e io non vedo nulla. Eppure…" sorrise e aggrottò le sopracciglia, mimando un'espressione preoccupata. "Oh, tutti lo attendevamo con tale ansia, Jack! Sembrava solo questione di tempo". King sospirò. "Ma è troppo tardi, ormai. Adesso si cambiano un po’ le regole del gioco”. Sollevò una gamba fino all'altezza della nuca di lei, e, con un cenno e una fugace occhiata al detective, la calò come se fosse stata la lama di una ghigliottina.
Hurt fece fuoco, ma i proiettili sparirono nella carne del dottore e non ottennero neppure il risultato di sbilanciarlo. King fece schioccare la lingua e colpì la testa della Lovelace.
Il suo cranio esplose. Prima che il cuore smettesse di pompare il collo spruzzò un fiotto di sangue su Hurt, e altri più brevi che inzupparono il prato. Il suo corpo rimase immobile qualche istante prima che i muscoli si rilassassero e cadesse a terra.
Era morta senza dire una parola.
Hurt non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, neanche per sbattere le palpebre.
“Bam! Pazzesco!” urlò King, ma al detective parve che fosse distante molte miglia. “Come fosse fatta di cartapesta! Ma dico, Jack, mi hai visto?”
Hurt risollevò lo sguardo su di lui. Digrignò i denti e lasciò andare la pistola, che produsse un suono attutito quando colpì il terreno. Avanzò, strinse le mani finché le nocche non gli si arrossarono e lo colpì al mento.
King accompagnò il movimento del pugno, ma non parve sentirlo. Afferrò Hurt per la collottola e lo sollevò da terra di alcuni centimetri.
“L’hai uccisa!” urlava il detective. “Dio ti maledica, l'hai uccisa!”
“L’ho uccisa come ho ucciso i tuoi amici del Mondo” disse King. “Ma loro li ho uccisi perché erano pericolosi, lei solo per farti del male. Da un certo punto di vista…” Lanciò Hurt in aria, e quello ricadde di schiena sul prato. “…è morta per colpa tua”. Gli si posò sul petto per tenerlo fermo. Poi, all’improvviso, come se già lo avesse ucciso, si disinteressò a lui e si mise a guardare il cielo.
“Ti domandi mai cosa sarebbe successo se il Mondo non avesse fermato Oppenheimer, Jack? Se la divinazione non avesse funzionato?”. Prese una bella boccata d’aria mentre, non visto, Hurt infilava la mano in una tasca del soprabito. “In fondo non avevano Il Viandante. Ti immagini quel mondo? Un mondo... un mondo senza magia?”
Hurt ficcò un lungo ago di siringa nella coscia di King, premendo fino in fondo lo stantuffo. “Non può esistere un mondo del genere” disse.
King si sollevò e indietreggiò, sentendosi debole all’improvviso, come se avesse preso un forte raffreddore o un'influenza, e si accasciò a terra. Hurt si rialzò e stette a fissarlo, con espressione dura e occhi spalancati.
“C-cosa hai fatto?” chiese il dottore tremando.
“Casa tua non è sull’elenco” disse Hurt. “Ma lo sono gli ospedali. Anche quello per cui lavori. Da lì, risalire a dove abiti è stato abbastanza facile”. Hurt sollevò la siringa, che colorò i raggi morenti del sole. “Non scherzavi quando dicevi che avevi migliorato la medicina con la magia. Saresti potuto essere un vero genio, se solo…” Lo guardò negli occhi, cercando le parole adatte. “Se solo tu non fossi stato un dannato pazzo".
King sputò a terra un grumo di sangue.
"Adrenalina e polvere di fata, vero? Diretti in endovena”.
“Cosa c’è in quella siringa?” chiese il dottore, ignorando la sua domanda.
“Oh, io non so nulla di medicina. Ma ne so abbastanza di magia. Questa è una soluzione di acqua e limatura di ferro dolce”.
"N-non è una soluzione" disse King.
"Ah".
Il dottore rimase un attimo a pensare, poi scoppiò a ridere. “E ora che vuoi fare, Jack? Uccidermi?” 
Hurt gettò via la siringa. Poi, sfilando prima dito per dito e poi tirando tutto insieme, si tolse il guanto che gli copriva la mano fantasma.
“Forse” disse.
King deglutì e lo fissò in volto. “In questo lavoro non puoi uccidere qualcuno senza subirne le conseguenze” disse. "Credimi, lo so fin troppo bene". Il suo sguardo vagò su Hurt e oltre di lui, come se stesse fissando qualcuno alle sue spalle. Ma quando Hurt si voltò, lì non c'era nessuno.
“Per stavolta correrò il rischio” disse il detective. Gli si avvicinò e si chinò su di lui: fece scivolare la mano tra le sue costole, frugò per un attimo, poi strinse. Gli occhi di King si spalancarono, ma le sue braccia non si mossero per fermarlo. Infine Hurt ritrasse la mano: nel pugno stringeva qualcosa, qualcosa di morbido, ma non la aprì. Si risollevò in piedi e studiò in silenzio il corpo del dottore.
King sollevò su di lui due occhi iniettati di sangue. “Non è finita” disse, sputando gocce di saliva mista a icore. “Non crederai che non abbia un piano di riserva?" Singhiozzò, come se in quel momento stesse cercando di ridere. "Prima o poi avrò la mia vendetta, Cavaliere di Coppe, che sia chiaro”.
Gli occhi gli si riversarono all'indietro e tutto il suo corpo fu attraversato da un forte tremito. Infine il suo torace si rovesciò e stramazzò a terra. Toccò il suolo che era già morto: aveva avuto il tempo di fare solo quell'ultima minaccia.
Hurt si lasciò cadere sul prato, seduto con le braccia tese. Anche lui tremava. Allora prese una sigaretta ma fece fatica a dar fuoco al fiammifero. 
“Ci sono sempre delle conseguenze” disse.
Una volta calmato il tremore delle mani si rialzò e andò a frugare nella giacca di King. Trovò la busta con le dosi di adrenalina e polvere di fata: l'avrebbe bruciata più tardi, quando si fosse disfatto del corpo. All’altezza del petto, in una tasca interna, Hurt trovò anche una carta: la estrasse e la studiò alla luce del portico. Era uno degli arcani maggiori, il ventesimo, il Giudizio. Un angelo richiamava con una tromba i morti perché la giustizia del Signore stava per essere dispensata. Il detective sorrise amaramente, aprì la mano e lasciò volteggiare la carta sul cadavere.
"È finita" disse. Le pupille gli si nascosero dietro le palpebre e, annaspando per mantenersi cosciente, svenne.

Da un'altra parte del Paese, in quello stesso istanti guanti di velluto stringevano una lettera chiusa con la ceralacca. Il sigillo era incantato: poteva essere aperto solo dal destinatario, e solo in caso l'autore fosse morto. A quel punto il Settimo lo infranse senza difficoltà.
"Dr. Ethan King..." mormorò, leggendo l'intestazione ad alta voce.
Verso metà del secondo paragrafo le sue dita si contrassero, adirate, stropicciando i bordi della lettera. Quando ebbe finito di leggerla la accartocciò e la gettò per terra.
L’Alveare aveva scoperto il Vero Nome di Jack Hurt. 

domenica 11 maggio 2014

Il Cavaliere di Coppe, by SvartSnø

La sua più grande sfida deve ancora essere affrontata. "Jack Hurt - Resa dei conti": questo lunedì, solo sul nostro blog.