martedì 25 marzo 2014

Editoriale 1


Da dove nasce un'idea? (e soprattutto: cos'è Jack Hurt?)

[Editoriale a cura di Stefano Mazzoni]




Ricordo il momento in cui ebbi l'idea di Jack Hurt come fosse ieri. Fu dieci anni fa. Quindi mettetevi comodi, perché questo lungo patchwork di ricordi sarà un piacere per me da scrivere e altrettanto, spero, per voi da leggere.
Il mio primo tentativo di romanzo fu un fantasy, poi una storia di pirati, poi un noir. Non ricordo molto di quest'ultimo, tranne il canovaccio e una scena fantastica in cui il protagonista, un ladro trasformista, si guardava allo specchio e dopo un lungo momento di introspezione si chiedeva chi fosse in realtà. Che l'avevano già usato una ventina di volte, ma per un ragazzo di dodici anni, credetemi, son soddisfazioni.
Il romanzo in sé avrebbe dovuto parlare di due ladri, maschio e femmina, destinati a battersi e infine a innamorarsi, assoldati da due ricche famiglie per recuperare un libro misterioso dagli strani poteri. Questa idea era nata unendo quella della vecchia serie Il Santo, di cui avevano realizzato una versione cinematografica con Val Kilmer, con quella de La Nona Porta di Roman Polański. Ecco, qui sta la risposta alla domanda "da dove è nata l'idea di Jack Hurt?" Dallo scontro di altre idee, solitamente migliori della mia.
Quel primo romanzo fu accantonato quasi subito. Negli anni successivi mi accaddero un certo numero di cose, come credo capiti spesso quando si parla di cose, e l'idea del romanzo fu ripresa e peggiorata. Non si trattava più di ladri rivali, ma di una coppia di detective appena minorenni, misteriosamente esentati dalla scuola dell'obbligo, e incaricati di trovare lo stesso libro di cui sopra. A dire il vero era pieno di vampiri: accadde prima che fossero di moda.
La colpa di questo tentativo di narrazione è di certo da attribuirsi a Buffy l'Ammazzavampiri, il capolavoro di Joss Whedon. Sì, lo so che voi hipster credete che Buffy sia un telefilm da ragazzine, qualcosa come i suoi epigoni Streghe o Smallville; ma, credetemi, vi sbagliate: Buffy è un telefilm brillante, ricco di battute, colpi di scena e personaggi a tutto tondo. La trama della seconda stagione rimane il punto più alto della storia delle serie televisive, a mio parere[1]. Il problema è che la guardavamo quando non potevamo capirla, da bambini. Quindi andate a ripescarla, invece di iniziare  l'ultima serie di J.J. Abrams, che tanto è il solito nulla cosmico; vedetevela fino alla quinta stagione e cercate di smetterla di fare gli stronzi. In lingua originale, che davvero il doppiaggio fu realizzato malamente, cambiando le battute che comunque non coincidevano col labiale. Da rimanere imbambolati.
Il secondo romanzo, comunque, quello di cui stavamo discutendo prima che io partissi a parlarvi dei fatti miei, lo scrissi quando avevo quindici anni, e me lo portai dietro fin verso i diciassette, correggendolo, ampliandolo, obbligando i miei amici a dirmi quanto fosse brutto - cosa che loro furono ben lieti di fare , tra l'altro (grazie, ragazzi).
Alla fine, fortunatamente, lo abbandonai.
Dallo scheletro del progetto nacquero però tre virgulti. Uno, la sceneggiatura di un fumetto (il cui nome, per quello che riesco a ricordare, era Hellgate), naufragò velocemente per incomprensioni con la disegnatrice, che tra l'altro è emigrata in Giappone e che saluto. L'altro, un racconto autoconclusivo di stampo lovecraftiano[2], mi ha portato a sviluppare quel poco di doti narrative che possiedo.
Negli anni seguenti la mia passione per il fumetto occidentale e per i telefilm è cresciuta in maniera esponenziale (insieme al mio successo con le ragazze, devo dire). Ebbro di tutti i Gaiman e i Moore e i Morrison e gli Whedon che potevo desiderare, con ben più di una spruzzatina di Garth Ennis e Jamie Delano e le repliche di Moonlighting[3] mandate a memoria, un giorno incappai nella seconda più grande serie televisiva di tutti i tempi: Doctor Who. E non parlo di quella cosa scialba e malscritta che è diventata sotto la gestione di Moffat, ma di quello che era Doctor Who all'alba della nuova serie, con Cristopher Eccleston nel ruolo del Nono Dottore e Russel T. Davis come sceneggiatore capo. Poi venne David Tennat e la migliore interpretazione del Dottore di sempre, o almeno dopo Tom Baker: il Decimo, che ha coperto tre stagioni e una serie di speciali e che, con la sua rigenerazione in Matt Smith, ha spezzato il cuore di tutti i fan.
(Forse sono un nostalgico.)
Per accorciare la storia, quindi, alla fine della settima stagione di DW (per inciso, quando viene introdotto il personaggio del War Doctor, interpretato da John Hurt), proprio mentre stavo rileggendo le ristampe della Doom Patrol di Morrison, mi venne l'idea di Jack Hurt.
A dire il vero l'incontro tra DW, il mai abbastanza elogiato Hellboy di Mignola, Morrison - in particolare il suo Animal Man - e i miei vecchi progetti, mi aveva già ispirato la serie di racconti dell'antesignano di Jack, il Professor Tempesta. Alieni, vampiri, vampiri alieni, Agarthi, demoni-rospo, Shamballa, viaggi nel tempo con zombie nazisti, metanarrazioni di metanarrazioni sono tutti motivi per cui il Professor Tempesta è stato messo da parte. Venne naturale, a quel punto, dopo la mia profonda delusione e la perdita di fiducia nelle mie capacità di narratore, cercare di alzare il tiro.
Perché non infilare nel progetto maggiori citazioni? Perché non trasformarlo in una prosa che strizzasse l'occhio sia al fumetto che al telefilm, i miei primi amori ricambiati, anche se alla fine Pacey non risponde mai alle mie chiamate? Perché non renderlo addirittura seriale, proprio come lo sono le sue fonti d'ispirazione? Un telefilm cartaceo, insomma. Che una volta si chiamava romanzo a puntate, o d'appendice, ma noi siamo ggiovani e di queste cose non sappiamo nulla.
Il nume tutelare e principale scrittore del genere è Charles Dickens - Dio lo abbia in gloria -; ma io volevo rifarmi a un altro genere di appendice, la letteratura pulp: i romanzi di Chandler e le loro controparti cinematografiche, Humphrey Bogart, gli Amazing Stories e le Weird Tales, i primi fumetti con gli investigatori dell'occulto Straniero Fantasma e Dottor Occult... Quindi feci quello che sono più bravo a fare: feci scontrare idee che altri avevano avuto, a loro volta riciclando idee preesistenti[4], e il risultato è stato proprio Jack Hurt.

Una sera dello scorso anno, dopo aver elaborato i primi tre racconti (che voi vedrete in questa serie, ma in un ordine diverso), contattai Marco Redaelli, delle cui abilità narrative avrete prova già tra un paio di episodi, e gli esposi la mia idea. Dopo i più che giustificati dubbi iniziali, Marco accettò di collaborare al mio progetto con l'entusiasmo di un lemming alla migrazione.
In passato avevamo già lavorato assieme a una raccolta di racconti gialli e a una saga fantascientifica che però non videro mai la luce, principalmente perché non avevamo idea di come renderle. Per me fu quindi naturale chiedere il suo aiuto: se quel giorno mi avesse detto di no, avrei probabilmente abbandonato il progetto. Ringraziamolo!
Col tempo a noi si sono affiancati altri scrittori: Sara Bardi, Federico Bortot e soprattutto Riccardo "Riccardone" "Grande Satana" Calandra, che figura come autore ospite ma che in realtà è stato essenziale come il caffè al nostro processo creativo.
La prima stagione di Jack Hurt si compone di quindici episodi più un pilota, ed è più o meno tutto quello che dovete sapere per ora. Se il feedback che riceveremo sarà positivo, sarà messa in cantiere anche una seconda stagione... Quindi sotto, coi feedback positivi!
Nei prossimi editoriali io e gli altri scrittori ci alterneremo con articoli di approfondimento, di discussione, e del perché sia sempre e comunque una cattiva idea accettare un progetto in cui figuro io come coordinatore. Questo per darvi una visione il più possibile completa di Jack e del suo mondo, e insomma per massimizzare il vostro godimento di lettori.

Per rispondere alla domanda iniziale, quindi, che comunque nessuno mi ha mai posto, "Da dove viene l'idea per Jack Hurt"... dallo scontro di idee migliori delle mie, da un romanzo che iniziai quando avevo dodici anni e dalla nostalgia dell'ultimo anno di università, che mi porta a cercar di realizzare i sogni che avevo da ragazzo. Scrivendo racconti che solo a un ragazzo, forse, potrebbero piacere.




[1] Sì, spero che la Mutant Enemy mi paghi per la pubblicità che le sto facendo.
[2] Tutti ne abbiamo scritti almeno due o tre, nella nostra vita: è una tappa obbligata per uno scrittore, come il primo bacio o la prima denuncia per atti osceni in luogo pubblico.
[3] Da non confondere con Moonlight, curioso incrocio tra il ciclo di Twilight e l'Angel della premiata coppia Whedon/ Greenwalt. Il Moonlighting in questione - conosciuto in Italia anche col titolo Agenzia Blue Moon - era una scoppiettante comedy drama ad ambientazione poliziesca, con un giovanissimo Bruce Willis e un'incantevole Cybil Shepherd a farla da mattatori. Imprescindibile per tutti gli intenditori.
[4] Nessuno ha più un'idea originale dal 408 d.C. Parafrasando William Morris, è il contributo del singolo autore a un soggetto l'unica originalità possibile. Questa può essere definita un'estetica: la sensibilità per fondere generi tanto diversi senza snaturarli è già arte.

lunedì 24 marzo 2014

EPISODIO 1 - PILOT


Il caso Shaw

[di Stefano Mazzoni]




La giornata si stava dimostrando fiacca. Hurt, chiuso nel suo ufficio al terzo piano, si sistemò un ciuffo dietro l'orecchio e afferrò la pistola. La smontò e iniziò a pulirla, come gli era stato insegnato molti anni prima, nell'esercito; quell'atto meccanico, che pur aveva ripetuto molte volte, lo aiutava a distrarsi. I suoi pallidi occhi azzurri seguivano con attenzione i movimenti delle mani. Versò qualche goccia di lubrificante nella canna e iniziò a strofinarla con uno scovolo. Dopo una decina di scovolate alzò la canna verso la lampada e controllò fosse pulita; quindi raccolse uno stiletto con attaccata una pezza di cotone e si preparò a tamponarla.
Una spia brillò sul telefono dell'ufficio. Hurt posò la pistola e pigiò un bottone. La voce della segretaria, Miss Lovelace, gli giunse, appena un tantino metallica, dall'altra stanza: se avesse attaccato il telefono avrebbe potuto sentire direttamente quello che diceva.
"C'è un cliente" disse. "È un po' strano, ma sembra a posto. Lo faccio passare?"
"Certo" disse Hurt. Si sbrigò ad infilare la pistola in un cassetto e si dette un'aria impegnata, aggrottando la fronte e studiando con occhi socchiusi i risultati delle gare all'ippodromo. Cose che supponeva facessero gli altri detective.
La porta si aprì e apparve un uomo alto, leggermente stempiato, con il volto di un pallore cadaverico, che si avvicinò a passo claudicante alla scrivania. "P-piacere, mi chiamo J-J-James Shaw" si presentò, ma non tese la mano.
Hurt lo studiò un attimo, e all'improvviso capì cosa c'era che non andava in lui. Si dava il caso che quell'uomo camminasse all'indietro. Quando si muoveva le gambe non si piegavano all'altezza delle ginocchia, e i suoi piedi puntavano nella direzione sbagliata. Le spalle tendevano all'indietro, come fossero cascanti verso le scapole. Il torace non era tondo né piatto, ma aveva la curva leggera delle schiene scoliotiche.
Hurt spalancò la bocca. Il volto di James lo fissava dritto in faccia. Dette uno sguardo al suo collo: la pelle era tirata in pieghe oblique, e un paio di bozzoli facevano bella mostra di sé sul lato sinistro... destro... della gola. Aveva il collo rotto e la faccia girata di centottanta gradi.
"Vuole sedersi?" chiese Hurt, indicando con gesto vago la sedia davanti alla scrivania.  
James scrollò... oscillò la testa a destra e a sinistra in segno di diniego. "Preferisco stare in piedi. E-e-è lei Jack Hurt?"
"È il nome sulle bollette" disse il detective.
"Spero non... spero non... spero non si lasci impressionare dal fa-fa-fatto che sono morto" balbettò James, quasi si vergognasse del suo stato.
"Be', lei non è il primo che vedo" provò a confortarlo Hurt, "anche se di solito sono orizzontali".
James sembrò arrossire, o forse erano solo i fluidi corporei che gli risalivano le guance.
"Perché non mi dice cosa l'ha portata qui?"
"Ho b-bisogno che lei ritrovi una cosa per me. I-il mio cuore".
Hurt aggrottò le sopracciglia. "Per questo è morto? Perché le hanno tolto il cuore?"
James lo fissò, con espressione stupita. "Non sia r-ridicolo. So-sono morto perché una macchina mi ha investito e mi ha r-rotto il collo".
"Già, ha ragione" ammise Hurt. Afferrò il pacchetto di sigarette sulla scrivania e glielo porse.
"G-grazie, ma in questo periodo ho qualche problema coi polmoni".
Il detective si strinse nelle spalle. "Allora... mi vuole dire come ha perso il suo cuore?"
"Oh, è s-semplice" disse James. "Il g-giorno della m-mia morte, ero in questo bar. E ho in-in-incontrato questa ragazza e... Be', ci siamo messi a parlare. Fu lei ad attaccar bottone, a dire il vero. E po-poi ci siamo baciati. N-non mi era ma-mai successo. Mi sono i-innamorato". Un sorrisetto compiaciuto si dipinse sul volto sghembo del morto.
Hurt pensò di aver capito dove fosse il problema. "E così le ha fatto dono del suo cuore" disse. "Un po' insolito, per quelli della nostra razza. Dovrebbe essere solo una metafora".
"Già e... lei sa, immagina, nell'Aldilà... nel D-Duaat..." bofonchiò James, come se non sapesse bene da dove iniziare.
"Senza il cuore non può sottoporsi alla prova della piuma di Maat ed essere ammesso nell'Aaru".
James tentò di annuire ma, non riuscendo a muovere il collo, sporse leggermente da dietro la mano e alzò il pollice. "P-precisamente. Sarò condannato nel Duaat, a meno che non venga giudicato degno".
Hurt si piegò sulla poltrona e poggiò i piedi sulla scrivania, con fare meditabondo.
"Bene. Allora vada da lei e si riprenda il cuore. È facile. Certe cose tendono a tornare al loro posto".
"Non posso!" singhiozzò James. Solo che, avendo la trachea spostata, gli uscì un suono come di un uomo che stesse soffocando. "Non ricordo il suo nome. È andato perso nell'in-incidente. E in questo stato non posso ce-cercarla: ho bisogno di una mano. U-una mano umana". Si infilò un paio di dita in tasca ed estrasse una manciata di pezzi da cinquanta. "Posso pagarla!" disse.
Alla vista dei soldi l'investigatore piegò la testa e batté le mani compiaciuto. "Caso accettato" disse. Poi, prima di alzarsi: "Solo una cosa non mi è chiara: saranno quasi duemila anni che nessuno è più sottoposto alla prova della piuma, e lei di certo non è di origine egizia. Cosa le è venuto in mente?"
James si strinse nelle spalle. "In vita ero un neopagano. E-ero fedele a Thoth. Credevo sa-sarebbe stato divertente".

Una Thunderbird del '97 era parcheggiata fuori dal bar dove James, qualche giorno prima, aveva incontrato la ragazza in questione. 
Il morto aspettava in auto che Hurt tornasse. Aveva il braccio piegato in maniera innaturale e batteva il tempo sul cruscotto. Ci impiegò un poco a riconoscere la canzone: Lily, Rosemary and the Jack of Hearts di Dylan.
Si domandò se il barista ricordasse la ragazza. Era la sua ultima speranza. Si chiese se avrebbe fatto in tempo a trovare il suo cuore prima che... Si chiese quanto tempo ci voleva perché un corpo iniziasse a decomporsi, anche se aveva un'anima dentro. In fondo il suo cuore non pompava più. Se chiudeva gli occhi poteva sentire i batteri dentro di lui compiere il loro lento lavoro.
Hurt aprì la portiera dal lato del conducente. Non entrò, ma si piegò in avanti per guardare James.
"L-l'hai trovata?" chiese il morto in tono speranzoso.
"So chi è" disse Hurt. "E so dov'è. Ti ci porto". Voleva aggiungere qualcosa, ma sospirò e stette in silenzio. Fece per salire in macchina quando all'improvviso si bloccò. Si tirò dritto, guardando a destra e a sinistra, e annusò l'aria. I peli sul suo corpo si erano rizzati tutti insieme. Sbatté un paio di volte le palpebre e si rivolse a James, sempre tenendo d'occhio l'orizzonte.
"James, mi chiedevo... come hai convinto gli dèi a lasciarti uscire dal Duaat?"
James stropicciò il volto in un'espressione colpevole. "Non ti ho ma-mai detto che mi hanno la-lasciato andare" precisò.
"Bene” disse il detective in tono monocorde. “Voglio che tu ti concentri. Sei scappato?"
James certo non provò a negarlo. "Dovevo!" disse, in tono di scusa. "Per ri-ritrovare il mio c-c-cuore".
Hurt non disse nulla. Salì in fretta in macchina e richiuse di scatto la portiera. Infilò la chiave nel pannello d'accensione, poi i due sentirono una vibrazione. Forte. E un'altra. Hurt si sporse, ma non vide nessuno per strada. Girò la chiave e dette gas.
"Merda" disse, mentre la T-bird sgommava in mezzo alla carreggiata.
"Woo, cowboy!" disse James, cercando di afferrare la maniglia della portiera. "V-vai più piano! Sei fortunato che non ci sia n-nessuno per strada!" Poi "P-perché non c'è nessuno per strada?" chiese.
Hurt ignorò la domanda. "Ti hanno mandato qualcosa dietro" disse. "Per riportarti nel Duaat. Avresti dovuto pensarci".
"C-cosa?" chiese James, girando quanto poteva la testa.
"Qualcosa di grosso". 
Un'altra vibrazione, come una scossa di terremoto, fece sobbalzare l'auto, e Hurt sterzò in una via a senso unico. James stava per dirgli qualcosa quando si ricordò che non c'erano altre macchine.
"L'Ammit" disse Hurt.
Il morto strabuzzò gli occhi e si sentì gelare. "Il Divoratore?"
Hurt non rispose e tagliò per il marciapiede.
"Dove stiamo andando?" chiese James, cercando di sovrastare il rumore del motore.
"A trovare il tuo cuore. Quando l'avrai tornerai nel Duaat e dimostrerai la tua innocenza. Spero che allora l'Ammit ti segua".
"E cosa succede se non riesco a..." cominciò James, ma un pezzo di grattacielo piombò sulla strada e costrinse Hurt a sterzare. Un'ombra li ricoprì per un attimo, ma James non fece in tempo a vedere cosa la stesse proiettando. Puntarono a un incrocio, poi in una via laterale, sperando di seminarlo. La terra tremò. Sbandarono per evitare un'impronta di ippopotamo. A quel punto James pensò lo avessero distanziato, ma da dietro un edificio spuntò la sagoma del Divoratore.
Era grosso come un palazzo di tre piani, e lungo quanto due autobus. Girò il suo enorme muso di coccodrillo incorniciato da una folta criniera, spalancò le fauci e ruggì, e il caldo fetore delle paludi del Basso Egitto rischiò di soffocarli entrambi. Con un'enorme zampa di leonessa cercò di ghermire la loro macchina, ma Hurt fu svelto a schivarla e, passando sotto le sue zampe - quelle anteriori di leonessa, quelle posteriori di ippopotamo - gli sgusciò alle spalle e continuò la corsa. Il Divoratore ruggì di frustrazione e cercò di girarsi: le sue natiche colpirono un grattacielo, raschiando via parte degli uffici e causando un crollo interno nella struttura. Le rovine rimbalzarono sulla sua pelle e caddero sulla strada.
L'Ammit partì alla caccia.
"Più veloce, più veloce!" gridò James senza più balbettare.
"Sto facendo del mio meglio" rispose il detective pigiando fino in fondo l'acceleratore.
Il Divoratore li sorpassò in quattro balzi, si girò e spalancò le fauci. Hurt sterzò, faticando a mantenere la presa sulla strada; ma il Divoratore sporse una zampa e colpì la fiancata della macchina. La T-bird finì in testacoda e si fermò dopo alcuni metri davanti a una porta automatica. Hurt spinse James fuori dalla macchina e rotolò via pochi secondi prima che il Divoratore la schiacciasse con la sua zampa. Afferrò il suo cliente per la collottola e lo guidò oltre la porta automatica, urlando.
Dentro tutti li stavano fissando. James continuò a urlare per un po', prima che Hurt lo colpisse e richiamasse la sua attenzione sul posto in cui erano finiti. Era un ospedale, con infermieri preoccupati e malati in vestaglia o sulla sedia a rotelle che li squadravano sorpresi.
Un degente con le cuffie nelle orecchie li superò e fece per uscire. James tentò di afferrarlo, ma a un segno di Hurt rimase fermo. Guardò fuori: c'erano persone e medici, e persino la Thunderbird intatta, ma nessun segno del Divoratore. Si girò verso Hurt per chiedere spiegazioni, ma quello si era già allontanato verso il banco delle informazioni.
"Scusi, qual è la camera della signorina Snow?" chiese all'infermiera di turno.
In quel momento James ricordò: ricordò che la ragazza di cui si era innamorato portava i capelli biondi tagliati corti e aveva gli occhi verdi; ricordò che sorrideva poco, quasi con imbarazzo, ma che quando lo faceva sembrava irradiare uno strano calore tutt'attorno. Infine ricordò che si chiamava Marie Snow e che studiava per diventare avvocato. Ricordò ogni cosa e fece per dirlo ad Hurt, ma il detective era tutto concentrato sull'infermiera.
Quella lo stava fissando indecisa, come se non si fidasse del tutto a dare informazioni a chi era entrato in ospedale urlando; ma poi qualcosa mutò sul suo volto, sorrise e gli indicò il reparto e la stanza.
"Grazie" disse il detective, e i due si incamminarono.

"Non può raggiungerci qui. L'Ammit, dico" disse Hurt, per riempire il silenzio dell’ascensore.
"Perché no?"
"Ci sono dei patti da rispettare. Questo luogo appartiene a Thoth e a Ermes, a Iside e ad Asclepio e ad Apollo. È un luogo sacro, un luogo di cura. Qui hai tutto il tempo per fare quello che sei venuto a fare".
James chiese ad Hurt perché Marie si trovasse lì. "Le è successo qualcosa?" disse.
Il detective si strinse nelle spalle e lo invitò a seguirlo fuori dall'ascensore. James dette uno sguardo fuori dalla finestra e vide che in città non c'erano segni del passaggio del Divoratore.
Hurt si fermò e fece un cenno verso una stanza. James lo precedette all'interno... vide Marie, la sua Marie, stesa su un letto, collegata a un respiratore e a macchine che monitoravano i suoi segni vitali.
"Quella sera... Marie è uscita di carreggiata" disse Hurt a mezza voce. "Aveva sterzato, ma era troppo tardi. Aveva investito un uomo che è morto prima di raggiungere l'ospedale".
James capì e la fissò.
"Credo tu possa riprendere il tuo cuore" disse Hurt. Si girò e chiuse la porta, poi ci si poggiò contro per impedire che qualcuno li interrompesse.
James, zoppicando, si avvicinò al corpo di Marie. Fece fatica a piegarsi su di lei. La donna aveva i capelli scomposti, sporchi, con la ricrescita perfettamente visibile. Per un attimo esitò, poi le sfiorò le labbra con le sue. "Ti perdono" disse. "So che non l'hai fatto apposta".
Alzò lo sguardo su Hurt.
"Grazie, J-Jack" disse, mentre il suo cadavere perdeva di consistenza. "Sei stato un amico. Forse ci rivedremo nell'Aaru". Scomparve del tutto a un cenno di Hurt, lasciando a terra solo un mucchio di banconote. Il detective si avvicinò e le raccolse in silenzio.
"Una normale giornata di lavoro" disse a Marie, scrollando le spalle, e si accese una sigaretta. Poi, ricordando di trovarsi in un ospedale, la spense e la gettò dalla finestra.

Istruzioni per l'uso


Capire questo blog è incredibilmente facile, come tutte le cose difficili [cit. PKNA]. Presto fatto: ogni settimana pubblicheremo un racconto più o meno breve su Jack Hurt. Questi racconti, insieme, andranno a formare un'unica storia, la prima stagione del nostro progetto. Immaginatelo, se vi è più comodo, come un telefilm da leggere invece che da guardare. 
In alto c'è un menu con delle etichette. Ogni racconto verrà numerato e contrassegnato con l'etichetta Episodi: cliccando su Episodi, cioè, andrete  a leggere i racconti. Fermatemi, se si fa troppo difficile. A fianco dei racconti in sé, ogni tanto pubblicheremo anche un editoriale. Attenzione! Gli editoriali sono numerati in base all'episodio associato: cercando Editoriale 1, cioè, andrete a leggervi l'editoriale pubblicato dopo l'Episodio 1. Nell'Editoriale 4, invece, che potrebbe benissimo essere il secondo editoriale apparso, si dà per scontato che abbiate letto fino al quarto racconto.

Credo che questo sia tutto. I lunedì pubblicheremo gli episodi veri e propri, i mercoledì gli editoriali, e gli speciali quando capita.
E adesso preparatevi ad entrare nel fantastico mondo di Jack Hurt. SHAZAM! EXCELSIOR! ETERNITY!

domenica 23 marzo 2014

Pagina dei ringraziamenti. Grazie!

Ringraziamenti! Che dolce suono ha questo vocabolo! A cercare su un dizionario, la definizione che trovereste sarebbe all'incirca: "quelle parole che si spendono per collaboratori che non vengono pagati".
Vorremmo innanzitutto ringraziare Irene Pace e Silvia Ricci, le nostre fotografe, che hanno arricchito e continuano ad arricchire la nostra pagina Facebook e il nostro blog coi loro scatti. Chiunque dica che la fotografia è un'arte per scemi, be', non ha ancora incontrato queste due. O quel fotografo che vive nel mio quartiere, alto due metri e col tatuaggio di Hitler sull'inguine: un letterato.
Ringraziamo anche Amna Senza Cognome, che con pazienza e, suppongo, rassegnazione, ha letto i nostri molti racconti e ci ha fornito un utile parere esterno. Grazie, Amna! In cambio, come promesso, ci siamo sbarazzati di Federico. Non farà più male a nessuno lì dove lo abbiamo mandato, a Musile di Piave.

Noi però siamo come gli sposini di Cana, che tengono il vino migliore per ultimo - anche se non l'avevano mica pianificato, i furbacchioni! -, e adesso arriviamo al piatto forte, senza per questo togliere nulla alle altre portate.
Desideriamo infatti ringraziare SvartSnø, la nostra disegnatrice, che in tempi record ha realizzato il nostro logo di Jack e i quattro Arcani che campeggiano qui sopra. Tra l'altro splendidi, e di cui vi daremo a breve degli ingrandimenti. Grazie SvartSnø, grazie perché chiamarti ad alta voce ha contribuito a migliorare la mia pronuncia delle lingue ugrofinniche, e grazie anche per gli altri disegni che, presto o tardi, spero vorrai fornire al nostro blog!

Dal profondo del nostro cuore nero di scrittori, quindi, grazie a tutte voi, ragazze: avete arricchito questa esperienza, e ci auguriamo che la nostra collaborazione duri ancora a lungo. Con gli stessi termini di pagamento di sempre.